La nostra storia
Prima di iniziare a raccontare la mia storia vorrei fare una piccola premessa: quello che leggerete in seguito non è altro che la pura descrizione dei fatti realmente accaduti, senza alcun commento soggettivo e soprattutto senza accuse dirette a nessuna delle persone coinvolte. Io non sono un dottore e non pretendo di giudicare il lavoro dei medici, ma so come è stata trattata mia moglie e non credo serva una laurea in medicina per capire come mai Francesca è nata prematura.
Verso la fine del mese di Marzo mia moglie inizia ad avere delle perdite di colore trasparente, ed il nostro ginecologo di fiducia ci consiglia di effettuare un test che si trova in farmacia (Al Sense) per verificare se si tratta di liquido amniotico. Il risultato è subito positivo ed il ginecologo, considerando che mia moglie si trova ancora alla 25° settimana di gestazione, ci consiglia il ricovero presso una struttura attrezzata con un reparto di Terapia Intensiva Neonatale. Dopo una rapida ricerca su Internet e considerando la posizione per noi conveniente decidiamo di recarci in una clinica di Avellino e lo facciamo anche abbastanza in fretta perché le perdite stanno aumentando e noi siamo molto preoccupati.
Il primo dottore a visitare mia moglie, la sera del 30 Marzo, ci comunica che molto probabilmente si tratta di una rottura delle membrane e che dobbiamo tentare di arrivare almeno alla 30°-32° settimana per poter avere maggiori speranze per nostra figlia.
Inizia quindi la degenza ospedaliera e la terapia con flebo di vasosuprina e di antibiotici, ed assoluto riposo a letto. I tracciati eseguiti giornalmente non evidenziano contrazioni ed anche le ecografie mostrano dei livelli di liquido amniotico sufficienti anche se le perdite di liquido si verificano con regolarità, soprattutto durante la notte. Viene inoltre effettuato un tampone vaginale il cui risultato escluderà la presenza di infezioni. Dopo qualche giorno di ricovero, verso le 10 di sera una dottoressa, senza aver mai visitato mia moglie, fa interrompere la terapia da una infermiera e le comunica che il giorno seguente dovrà essere dimessa. La notizia lascia a dir poco stupita mia moglie, considerando che nel consueto giro mattutino, i medici le avevano detto che sarebbe dovuta restare a letto tranquilla ed immobile continuando la terapia allo scopo di arrivare almeno alla 30°-32° settimana di gravidanza. Il mattino seguente la stessa dottoressa insieme al padre effettua una visita e conferma le dimissioni dicendo che le perdite non provengono dall'interno del sacco, ma mia moglie chiede ed ottiene di restare qualche altro giorno in osservazione. Tornata in camera, poche ore dopo questa visita, dal tracciato si riscontrano alcune contrazioni e le perdite di liquido sono molto più abbondanti del solito, infatti il medico di turno fa immediatamente riprendere la terapia con flebo di vasosuprina. Io e mia moglie abbiamo considerato questo episodio come un incidente di percorso, infatti nelle settimane seguenti, tutto sembrava procedere nel migliore dei modi.
I dottori con cui parlavamo, ed in particolare il dottore che era stato il primo a visitarla il giorno del ricovero, ci confermavano che il problema era la rottura del sacco, ma il fatto che questa rottura era alta (dall'ecografia non era visibile), il modo con cui queste perdite venivano naturalmente compensate (infatti i livelli di liquido erano quasi sempre sufficienti) ed il fatto che non ci fossero infezioni erano fattori positivi che avrebbero consentito di raggiungere un epoca gestazionale più sicura per la bambina. A parte una ecografia del 14 Aprile nella quale il valore di liquido era sceso un pò troppo, tutto sembrava procedere nel migliore dei modi, grazie all'impegno di mia moglie ed alle cure che stava ricevendo, e giorno dopo giorno le nostre speranze aumentavano.
Era appena iniziata la quarta settimana di ricovero quando, la mattina del 21 Aprile, un dottore che non aveva mai visitato mia moglie, manda l'infermiera a staccare la flebo di vasosuprina (sostituendola con delle compresse) e facendole dire che verrà dimessa in giornata. A questo punto mia moglie è disperata, sa di avere bisogno di quelle cure e cerca in tutti i modi di convincere questo dottore a non dimetterla, ma lui è assolutamente convinto della sua decisione, le dice che lei ha una semplice leucorrea gravidica e che può andare tranquillamente a casa, e quando lei gli fa notare che gli altri dottori dicevano che sarebbe dovuta restare ricoverata fino almeno alla 32 settimana, lui risponde che il suo parere non poteva essere messo in discussione da nessun altro medico di quel reparto. Supplicandolo mia moglie ottiene una vera e propria proroga alle dimissioni legata ad una verifica che lo stesso dottore avrebbe dovuto effettuare non appena si fossero verificate di nuovo delle perdite. Evento che avviene nel tardo pomeriggio della stessa giornata, ma questa volta il liquido amniotico è misto a sangue ed il dottore, dopo aver effettuato la visita, fa annullare le dimissioni, ordina l'immediato ripristino della terapia e prospetta a mia moglie l'eventualità di un parto cesareo d'urgenza, qualora le perdite non si fossero arrestate. Infatti il tracciato evidenzia contrazioni regolari, le perdite continuano in abbondanza e solo a tarda notte la situazione si stabilizza. Purtroppo la mattina del 23 Aprile le perdite diventano di colore verde (liquido amniotico tinto) e bisogna procedere al taglio cesareo perché la bambina potrebbe andare in sofferenza. Francesca nasce alle 10:30 del 23 Aprile all'inizio della 29° settimana di gestazione, pesa 1,450 gr e dopo un pò viene portata in terapia intensiva. Vedo mia figlia per la prima volta alle 13:30, e poi di nuovo la mattina seguente, riesco a scattarle qualche foto ed un piccolo video nel quale lei stringe il mio dito con la manina. Lo stesso giorno riesce a scendere anche mia moglie che, nonostante i dolori post-operatori riesce a trascorrere un'oretta con sua figlia. La sera del 24 Aprile vengo chiamato d'urgenza nel reparto dove una dottoressa mi comunica che la situazione è gravissima perché si è verificata una emorragia polmonare, in effetti mi rendo conto subito, sia dal colore della sua pelle che dei suoi occhi, che la mia bambina sta per morire. Ci viene concesso di restare vicino a lei, con la forza della disperazione cerco di chiamarla, le dico di lottare, la accarezzo sperando in un miracolo, ma dopo due ore circa di agonia, la piccolina muore per un arresto cardiocircolatorio.
Per ovvi motivi di privacy non vengono citati i nomi dei medici a cui si fa riferimento in questo articolo